Tutti coloro che si occupano di investimenti relazionandosi con i clienti, sanno quanto gli aspetti emotivi siano attivi nell’ambito delle scelte di natura finanziaria. Questa percezione psicologica, oggi si trasforma in certezza biologica. Gli studi di Neurovendita, realizzati con le tomografie a positroni, hanno dimostrato quali sono le aree più attive del cervello durante le scelte di investimento. Questi strumenti consentono di misurare l’attività delle diverse aree cerebrali, in funzione del consumo di glucosio ed ossigeno. Le ricerche hanno dimostrato bassa attività nelle aree corticali prefrontali. Queste porzioni di cervello poco attive sono la sede della pianificazione razionale, della logica, della valutazione del rapporto tra rischi, costi e benefici. Si osserva invece un’iperattività delle aree limbiche, ovvero dei complessi neurali che governano le emozioni. Quella che era un’intuizione, oggi è una certezza scientifica. Fotografare dal vivo il funzionamento del cervello in ambito finanziario è un’ulteriore conferma di tutte le ricerche attinenti al campo della finanza comportamentale che ha portato al Nobel autori come Kahnemann (2002) e Thaler (2017).
Quali sono le emozioni più attive nelle scelte in ambito finanziario? Sicuramente tre specifiche emozioni giocano un ruolo primario: il rimpianto, la paura e l’avidità. La paura e l’avidità dipendono da dove il cliente pone la sua attenzione. E’ il “framing”. Se il cliente pone l’attenzione sui rischi, si attiva la paura. Questo determina scelte di investimento determinate dalla sovrastima dei rischi oggettivi. Se l’investitore si focalizza sui rendimenti, allora si attiva quella che si chiama spinta all’avidità. Non si tratta di un giudizio etico, ma piuttosto di un vissuto emotivo. Essere avidi in ambito finanziario significa iniziare a pregustare il piacere futuro legato al guadagno connesso con l’operazione. Questo piacere anticipato, rende la persona più incline al rischio, sottostimando le conseguenze negative possibili legate alla scelta. Un ruolo fondamentale nella determinazione del ciclo paura vs avidità è la fonte di provenienza del denaro. L’investitore è avido, se i soldi sono figli di una vincita, di eredità o di situazioni fortunate. Il cliente è invece molto timoroso se il denaro è frutto del proprio lavoro. Un altro fattore emotivo centrale è il rimpianto. E’ importante definire i termini. Il rimpianto non è il rimorso. Il rimorso è una sensazione spiacevole legata ad aver fatto delle scelte che hanno prodotto delle conseguenze negative. Il rimpianto invece entra in gioco nel momento in cui l’investitore sceglie. Il cervello decide con l’obbiettivo di azzerare il rimpianto. Questa tendenza a non volere rimpianti rende in alcuni casi, molto avversi al rischio, in altri propensi al rischio. Dipende dove si focalizza l’attenzione dell’investitore. Se sui rischi, l’azione del rimpianto ne determina una sovrastima e quindi una tendenza a comportamenti d’investimento protettivi, in alcuni casi un vero e proprio immobilismo. Se il focus si sposta sui ricavi potenziali, il cliente non vuole perdere l’occasione di arricchirsi. Non vuole il rimpianto di perdere la sua “chance”. Emerge un comportamento che accetta, quasi disinteressandone, il grado di rischio.
Le ricerche dimostrano un funzionamento cerebrale limbico indipendentemente dal valore dell’investimento in gioco e dal titolo di studio del cliente. Il dato ancora più interessante è che le persone sono spesso inconsapevoli del ruolo che le emozioni hanno nella decisione presa. Le emozioni sono preverbali e guidano le azioni in maniera inconsapevole. Le scelte in ambito finanziario sono quanto di più distante esiste dalla rappresentazione dell’uomo economico come razionale e logico. Il cliente non è un robot che massimizza i propri rendimenti considerando e differenziando le componenti di rischio. Le “fotografie” del sistema nervoso centrale mostrano un cliente che sceglie guidato da un condensato emotivo di paure, avidità e rimpianto. Il contesto spesso determina dove si pone la sua attenzione e quindi le emozioni che si innescano.
Come queste ricerche scientifiche possono arricchire la professionalità del consulente finanziario? Come si modifica il ruolo dell’Advisor alla luce della finanza comportamentale e dei correlati nervosi delle scelte d’investimento? Si tratta di applicazioni ai primi passi, dalle aule universitarie questi concetti stanno arrivando a chi ogni giorno consiglia, valuta e supporta i clienti nella gestione dei loro patrimoni. Se l’obbiettivo di ogni consulente è far fare al cliente la scelta migliore, tenendo presente la complessità delle variabili in gioco, uno dei compiti dell’advisor è aiutare il cliente a diventare consapevole delle proprie emozioni, attenuandone l’impatto sulle scelte di investimento. Il consulente finanziario è portatore di “razionalità, logica e realtà” all’interno di un oceano di sentimenti. Non è possibile ignorare le emozioni. Approcciare la finanza solo con grafici, curve e indici non convince il cliente che sta utilizzando il sistema limbico. Serve integrare alla competenza tecnica, la capacità di riconoscere le emozioni e farle emergere. Due domande sono fondamentali nell’analisi emotiva del cliente. “Da dove proviene il denaro che vuole investire?” e “Su quali informazioni sta ponendo la sua attenzione in questo momento?”. Queste due domande aprono uno squarcio sul funzionamento emotivo. Aiutano a prendere consapevolezza delle emozioni attive in quel momento, per evitare al cliente gravi rimorsi futuri legati a scelte troppo irrazionali ed impulsive.