Nel modo fashion si è sempre aderito alla regola che il “colore nero” fosse perfetto per ogni occasione. Oggi, sarebbe meglio sostituirlo con il colore verde. Siamo di fronte ad un cambio reale di prospettiva, un diverso modo di pensare o è solo una moda?
Dall’accordo di Parigi del 2015, i top brand del mondo hanno aderito massivamente per ridurre l’impatto ambientale. La cosa interessante è che iniziano a fare a gara per anticipare i tempi rispetto agli obbiettivi. Amazon, ad esempio, ha dichiarato di voler raggiungere 10 anni prima i target, con un comunicato stampa intitolato: “Amazon si veste di verde”. Secondo Ismea, gli scaffali dell’ecosostenibile sono quadruplicati nei supermercati, con un +247% negli ultimi 5 anni. Una variazione significativa nelle preferenze nel carrello della spesa. Gli attori di Hollywood e le popstar fanno a gara per patrocinare iniziative verdi. Il fenomeno mediatico “Thunberg” è cosi prorompente da non avere uguali. Si possono citare migliaia di esempi per indicare come l’attenzione al “green” sia oggi dominante.
Come legge il fenomeno la Neurovendita? Il campo di applicazione delle neuroscienze ai fenomeni commerciali. Il “green” è un “brand”. Un brand primario, di categoria superiore. L’idea verde abbraccia e caratterizza, conferisce una nuova vita agli altri “brand” esistenti. L’essere verde permette ai marchi di poter valorizzare le loro caratteristiche, in assenza di questo “bollino verde”, l’identità di marca non viene considerata dal consumatore.
Serve un passo indietro. Un brand per il cervello è un magnete emotivo. Quando un concetto diventa brand, l’idea diventa prima nella mente e guida in maniera inconsapevole i comportamenti. Come un concetto diventa un brand nel cervello?
Occorrono 9 anni per costruire un brand. Una decina di anni fa, le tematiche di sostenibilità ambientale interessavano una nicchia di persone. Oggi è un mantra di massa, a cui la maggioranza aderisce.
I brand non crescono linearmente, ma seguono un trend esponenziale. Si sviluppano piano piano, soprattutto all’inizio, e poi esplodono diventando presenti ovunque. Oggi siamo nel picco di diffusione del brand “green”. Diventa quasi impossibile “vendere qualcosa” che non rimandi al green nel suo packaging o nel suo processo produttivo.
La creazione di avversari è un fattore tipico. Per creare un brand serve una mission precisa che coinvolga l’annientamento di avversari, cattivi nemici da battere. Le idee si diffondono per confronto, in una dinamica di superamento del passato. In questo caso chi aderisce al verde diventa parte del gruppo che “salva il pianeta” contro chi oggi e in passato lo “vuole distruggere”.
La presenza di icon visibili è tipica nella fase del consolidamento. I brand hanno bisogno di oggetti visibili, icon evidenti. Esattamente come i loghi sulle T-Shirt, confermano il valore delle “griffe” di moda. Basta osservare il centro di qualsiasi città per vedere borracce metalliche, bici elettriche e bicchieri plastic free. Le persone vogliono indicare la loro appartenenza al brand “green” in maniera palese, esattamente come acquistavano il nuovo modello di smartphone per mostrarlo.
La lettura neuroscientifica del fenomeno sociale si sintetizza alla perfezione nella frase: “green is the new black”. Si è creato un brand di ordine superiore, che qualifica tutto il resto. Essere green non è più una scelta per le aziende. E’ un obbligo di marketing per poter rientrare nei parametri dei clienti. Se non sei green, non solo non vendi, non vieni nemmeno preso in considerazione. Se sei green te la giochi sul mercato. E’ una delle principali chiavi implicite con cui il cervello compra e sceglie, da cosa mettere nel carrello a quali vestiti acquistare, dai posti in cui andare in vacanza, a cosa scegliere sul menu al ristorante. Il fenomeno “green” sarà come la maggioranza dei Brand una moda passeggera o durerà nel tempo? Ai posteri l’ardua sentenza.