Gli italiani sono un popolo di navigatori, poeti e soprattutto giocatori d’azzardo. I dati aggregati del Mef dimostrano che ogni cittadino spende in media 480 euro l’anno tra lotterie, gratta e vinci e slot-machine. Il jackpot per la prossima giocata del “Superenalotto”, che avrà un premio superiore ai 200 milioni di euro, ha riacceso, la voglia di gioco d’azzardo in tutta la penisola, se ce ne fosse bisogno. Chiunque approcci il tema dal punto di vista statistico sa che le probabilità individuali di vincita sono prossime allo zero.
Uno studio del Cnr del 2017 ha dimostrato che reddito e cultura non sono correlate all’intensità dei comportamenti del gioco d’azzardo. Il fatto che le persone di ogni provenienza e censo continuino a giocare spiega molto dell’irrazionalità del cervello nei confronti del denaro.
Un’evidenza scientifica è forse ancora più impressionante.
Che cosa succede ai pochi che vincono? La ricerca ha dimostrato che l’87% dei “fortunati vincitori della lotteria”, ritorna povero entro 24 mesi. È un dato confermato da molti studi, tra cui la metanalisi recentemente pubblicata da Jordan Ballor. I “baciati della dea fortuna” diventano più poveri di prima in meno di 2 anni.
Perché le persone perdono completamente il controllo quando acquisiscono grandi somme inattese? Una risposta scientificamente fondata e convincente arriva dal campo di studi che lega neuroscienze e finanza comportamentale.
Il premio Nobel per l’economia Richard Thaler, ha studiato il concetto di “Mental accounting”. Le ricerche dimostrano che la propensione al rischio cambia completamente in funzione della fonte da cui proviene il denaro. Come se nel cervello il denaro ottenuto senza fatica, venga inserito in una voce di bilancio “ad alto rischio”. Mentre se la cifra deriva dal lavoro o da altri investimenti complessi allora la quota viene registrata nella sezione “basso rischio”. Chi vince alla lotteria si trova a gestire un valore enorme conseguito senza sforzo, pertanto la percezione del rischio salta completamente. Un approccio aggressivo e spesso poco diversificato determina ingenti e rapide perdite nel vincitore.
Un’altra dinamica che si estremizza in queste situazioni è l’”ottimismo irrealistico”. Il primo ad averlo dimostrato è un altro premio Nobel che ha studiato cervello e comportamenti finanziari, Daniel Kahnemann. Essendo stati fortunati in passato, i vincitori pensano che in futuro continueranno ad esserlo. Ritengono di “essere benedetti, quasi magici”. Questa visione di sé, porta a spese correnti pazzesche, senza alcuna pianificazione per il futuro, nell’illusione che tutto andrà sempre bene. Questa percezione ottimistica della realtà e di sé stessi, viene a chiedere conto dopo qualche tempo, quando la cassa è dilapidata da uscite folli.
Il terzo fattore riguarda il senso di colpa. Le ricerche di neuropsicologia sociale dimostrano che persone cresciute in un ambiente finanziariamente difficile, sviluppano una dinamica conflittuale legata al possesso di denaro. Durante l’adolescenza, desiderano la ricchezza. Con il passare degli anni, in una sorta di meccanismo consolatorio legato alla situazione di “povertà”, consolidano l’idea che chi ha denaro sia una persona priva di senso morale e socialmente riprovevole. Questo giudizio crea un alone di negatività legato al denaro. In un istante, chi ha tra le mani il biglietto fortunato, si ritrova dall’altra parte. Queste persone diventano “oggettivamente ricche”, tuttavia il loro cervello rimane intriso dell’associazione tra denaro e amoralità.
Una convinzione è nel cervello una densa rete neurale nelle cortecce prefrontali che guida il comportamento in modo inconsapevole. Per lenire il senso di colpa di essere diventati ricchi, quindi “inconsapevolmente riprovevoli”, aiutano tutti senza alcun freno. Compiono gesti esagerati e plateali, per dimostrare a sé stessi di essere “diversamente ricchi”. Questi eccessi li rendono “accondiscendenti prede” di parenti, amici, conoscenti, vicini di casa, che di fatto trasformano il vincitore in un bancomat infinito. Peccato che ogni somma, per quanto grande sia, prima o poi, finisce.
La maggioranza di chi vince la lotteria, è un “ricco a tempo determinato”. Le distorsioni cerebrali legate alla sottovalutazione del rischio, l’ottimismo irrealistico ed il senso di colpa sono una mina nel cervello del “fortunato” pronta a esplodere. Le neuroscienze applicate ai comportamenti finanziari confermano, se ce ne fosse ancora bisogno, l’uso di meccanismi cerebrali emotivi e del tutto irrazionali nella gestione del denaro, estremizzati nei casi di “vincitori alla lotteria”. Per dirla con uno slogan: la fortuna è cieca, le distorsioni cerebrali legate al denaro, vedono benissimo.
Nessuna invidia quindi per chi vincerà il jackpot da oltre 200 milioni, il possessore dei numeri fortunati ha un’altissima probabilità di tornare più povero in 24 mesi.